L'arte del cuore
Il padiglione indiano alla 58a Biennale di Venezia si è classificato tra i primi 10, consolidando l’importanza del Paese come realtà internazionale da prendere in considerazione nel campo della creatività contemporanea
Il Mahatma Gandhi non si è mai recato a Venezia. Almeno non fino al 2019, quando alcuni artisti indiani sono approdati nell’eternamente romantica città italiana con opere ispirate alla filosofia della pace e non violenza di Gandhi. Quest’anno, dopo una pausa di otto anni, la rappresentanza indiana alla Biennale di Venezia, il più grande e rinomato spettacolo artistico del mondo, è stata accolta non solo per il suo spirito creativo, ma anche per il tema della filosofia di Gandhi. Il fatto che il Financial Times e il sito web di arte artsy.net l’abbia inclusa tra i primi 10 padiglioni nazionali, su un totale di 90, insieme a Stati Uniti, Svizzera, Polonia e Ghana, paese al suo debutto, dice molto della nostra creatività sostenuta dal pensiero di Gandhi.
Otto artisti indiani, tra i quali Nandalal Bose, MF Husain, Jitish Kallat e Atul Dodiya rimarranno in mostra al padiglione ufficiale dell’India presso la 58a Biennale di Venezia (fino al 24 novembre). Oltre a questi, alcuni artisti contemporanei quali Gauri Gill, Shilpa Gupta e Soham Gupta, che con il loro lavoro si sono guadagnati il plauso della critica globale, rappresentano la mostra principale della Biennale, curata da Ralph Rugoff, curatore americano nonché colui che sta dietro l’edizione del 2019. L’India ha debuttato alla biennale con un padiglione nazionale nel 2011, quasi 116 anni dopo la prima edizione dell’evento! Nel 1931 Gandhi aveva visitato Roma e, in una lettera a un amico, scrisse che considerava il Primo Ministro italiano Benito Mussolini un personaggio enigmatico. Gandhi scrisse anche una lettera su Adolf Hitler. È a questo pezzo di storia che l’artista Jitish Kallat ha deciso di dare vita con la sua immersiva installazione intitolata “Covering Letter”, una delle esposizioni chiave del padiglione indiano alla Biennale di Venezia. La lettera appare scritta pian piano, proiettata su uno schermo fumoso, in cui le parole e la firma di Gandhi sono scarabocchiate, rendendo lo spettatore testimone della storia.

Il padiglione dell’India è il risultato dell’impegno congiunto della National Gallery of Modern Art, in qualità di commissario, del Ministero della Cultura del governo indiano e della Confederazione dell’Indian Industry (CII), in qualità di partner. È stato curato da Roobina Karode, capo curatore del Kiran Nadar Museum of Art (KNMA). “Non ho concepito la mostra come una rappresentazione letterale di Gandhi in formato documentario, o riportandolo dagli archivi”, afferma Karode, aggiungendo che “l’immagine /presenza di Gandhi non è fissa nel tempo e nello spazio, ma continua a tornare alla memoria della coscienza pubblica in periodi di crisi o disperazione. Non è un tema che giace solo nel sentimento o nella nostalgia. Piuttosto, è il tema della riflessione contemporanea. Sono stato più propenso a esaminare gli aspetti della sua operosità. E anche il suo ideale di attività manuali, di dignità del lavoro e la sua enfasi sull’autosufficienza”.Un visitatore scatta una foto all’installazione dell’artista Shakuntala Kulkarni, alla Biennale di Venezia. L’opera senza titolo comprende due sculture in bambù, sette fotografie e accessori del progetto “Di corpi, gabbie e armature”. Questo lavoro si ricollega alle piattaforme in bambù utilizzate da Gandhi, dalle quali pronunciava discorsi alla nazione.
La partecipazione dell’India alla Biennale di quest’anno rappresenta una gradita consolazione e fungerà da impulso verso la solidarietà artistica indiana, che per lungo tempo ha lamentato la presenza sporadica dell’India in occasione di eventi artistici globali. “È un momento emozionante per l’India, che viene rappresentata in musei internazionali quali il MET Breuer di New York, ad esempio, documenta è una manifestazione d’arte contemporanea che si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania, e ora anche alla Biennale di Venezia”, dichiara Shanay Jhaveri, assistente curatore della sezione di arte dell’Asia meridionale presso il Metropolitan Museum of Art di New York (MET). Jhaveri ha promosso alcuni artisti indiani e il MET ha ospitato una esposizione del defunto artista indiano Nasreen Mohamedi. Attualmente ospita una mostra personale dello scultore Mrinalini Mukherjee.

Poiché si tratta del secondo Padiglione dell’India presentato alla Biennale, il team curatoriale ha optato per una rappresentazione sostanziale di otto artisti indiani su un’area di 530 mq. “Abbiamo optato per uno spazio fluido, evocando risonanze attraverso le opere esposte e mantenendo il carattere meditativo del padiglione, per consentire di fermarsi e riflettere. Ho scelto di non utilizzare un design simmetrico dello spazio, bensì forme stravaganti e nuovi incontri di linee”, afferma Karode.
Jitish Kallat ci rivela le vicende che stanno dietro la sua opera “Covering Letter” (lettera di presentazione). “Ogni visitatore apporta diverse esperienze (personali, sociali e storiche) che in un certo modo alterano il significato del mio lavoro”, afferma Kallat. La lettera riflette su un’espressione della storia che potrebbe essere riproposta per ripensare il presente. Ci dice che l’opera è come un pezzo di corrispondenza storica irradiata su una cortina di nebbia secca attraversabile; una breve lettera scritta da Gandhi ad Adolf Hitler nel 1939, nella quale sollecitava il leader tedesco a riconsiderare i suoi mezzi violenti. “C’è un senso di perplessità nel modo in cui Gandhi pronuncia il suo indirizzo, come principale sostenitore della pace di un momento storico”, riflette Kallat. “Come molti gesti di Gandhi ed esperienze di vita, questa sembra essere una lettera aperta destinata ad andare oltre la data di consegna e oltre il destinatario previsto – una lettera che potrebbe essere scritta a chiunque, sempre e ovunque”, spiega.
Karode e il suo team curatoriale hanno scelto “Broken Branches” (rami spezzati) dell’artista Atul Dodiya perché ha avuto una certa risonanza universale e ruota attorno al dialogo della non-violenza. “Ciò che probabilmente è triste da constatare è il fatto che questa mia opera sia ancora rilevante al giorno d’oggi, poiché la violenza continua”, osserva Dodiya. L’installazione è composta da nove armadi in legno con fotografie incorniciate colorate a mano, arti protesici, strumenti, oggetti ritrovati e altri cimeli.
Allo stesso modo, l’artista GR Iranna ha rivisitato il suo lavoro del 2010 con delle padukas (pantofole sacre). “L’installazione si intitola “Naavu”, una parola della lingua kannada che significa “insieme”. Rappresenta il momento in cui siamo tutti uniti e solidali per una causa”, afferma Iranna. L’opera presenta centinaia di padukas, messe una sull’altra, a formare un cumulo di pantofole attaccato al muro. In India, le padukas sono indossati dai monaci e da altri santi accoliti e rappresentano il principio della pace e della non violenza. Attaccato a ciascuna calzatura c’è un piccolo oggetto, che indica una professione o una religione, come un paio di forbici ad esempio. “Questo rappresenta l’individualità di ciascuno e indica che, anche se siamo insieme in un gruppo, ciascuno continua a mantenere la propria identità”, afferma Iranna. I granelli di sabbia attaccati alle padukas indicano che le calzature sono indossate da persone che camminano vicino al mare e questo allude alla marcia di Gandhi verso Dandi, per protestare contro una legge draconiana che era applicata nell’India britannica.
La defunta Rummana Hussain è rappresentata da una delle sue opere più significative: Fragments (Frammenti). Questa consiste in un vaso rotto o “tomba”, e parla di perdita, di un silenzio messo a nudo su specchi. Mentre l’artista Maqbool Fida Husain è rappresentato dal suo dipinto “Zameen”, un’opera storica che mette insieme le riflessioni sulla natura sincretica del passato dell’India.
Il padiglione diventa ancora più importante grazie alla celebrazione del 150° anniversario della nascita di Gandhi, avvenuta lo scorso anno, e per il fatto che l’importanza della sua filosofie risuona nella violenza del mondo odierno. “La mostra tenta di considerare l’importanza degli ideali di Gandhi nel mondo contemporaneo”, afferma Karode, aggiungendo, “purtroppo ancora oggi abbiamo bisogno dei suoi esperimenti con la verità, affinché ci guidino!”